martedì 6 novembre 2007

Nicola Gobbetto - Interview


Mi piace pensare a Nicola Gobbetto come al Peter Pan dell’arte milanese. L’eterno fanciullo che dietro la superficie delicata delle sue opere, tratte dall’adolescenza e dal mondo dell’infanzia, si cela sempre qualcosa d’irrequieto, trasformando la serenità delle favole in una tranquillità apparente, dove il lieto fine è stato volutamente cancellato.

E’ la prima volta che mi capita d'intervistare un artista di cui sono molto amico, è strano...Conoscendoti potrei azzardare che da piccolo eri il classico bambino educato e timido che disegnava tutto il tempo ho ragione?
Sì, disegnavo dappertutto anche durante i viaggi in macchina. Educato sì, i miei genitori mi obbligavano a comportarmi come un piccolo lord ma stranamente non ero affatto timido e al ristorante andavo a cantare le canzoni dei cartoni animati agli altri tavoli e chiedevo l'elemosina. Ero molto determinato, ottenevo tutto ciò che volevo, essendo figlio unico ero molto viziato.

Nelle tue opere c'è sempre qualcosa di fanciullesco e Disneyano, ma la sensazione che ho è che spesso il lieto fine non sia scontato, sbaglio?
Esatto, anzi tendo proprio a cancellare il lieto fine nelle fiabe ma anche nei film. Preferisco i momenti cruciali dove il protagonista è messo a dura prova.

Com'è stata la tua adolescenza?
Tutto sommato abbastanza serena, anche la scoperta della sessualità non è stata traumatica. La mattina dopo il mio primo sogno bagnato mia madre mi ha semplicemente detto: "ti se macchiato il pigiama…" e ho continuato a fare colazione come se niente fosse.

Se dovessi scegliere di vivere una fiaba quale sarebbe e chi vorresti essere?
Il pifferaio magico; vorrei essere uno di quei bambini inghiottiti per sempre dalla montagna.

Il contrasto è un elemento che adoro nei tuoi lavori e mi riferisco in particolare alla tua scritta Disneyland riempita d'immagini pornografiche gay maschili, me ne parli?
Il sesso è tra i miei giochi preferiti. Il sesso come parco divertimenti, da lontano la scritta Disneyland sembra una qualunque scritta rosa innoqua ed inoffensiva, ma se ti avvicini scopri che è composta da immagini di cazzi e culi.

Anche il tuo nome era iscritto nell'elenco d'artisti per la mostra Vade Retro. Che ne pensi di quello che è accaduto?
Mi sono perso quasi tutti i passaggi, mi teneva aggiornato mio padre che leggeva le evoluzioni sui quotidiani. Ora so che dopo le infinite vicissitudini approderà a Firenze. Comunque penso che chi l'ha organizzata sia riuscito ad ottenete esattamente quello che voleva: alzare un gran polverone.

Qual'è l' inesauribile fonte d'ispirazione per i tuoi lavori?
La natura, le stagioni, la teoria dei colori, la geometria, i mobili di Ettore Sottsass, i Macarons della pasticceria francese Ladurée, i libri di David Bachelor "Cromofobia" e “Nerd Power” di Stefano Priarone, la fase di apparente declino di Britney Spears, i film di Todd Solondz, i videogiochi degli anni '80, le incisioni del Settecento e dell'Ottocento, Jackass, i Fuccons…

Abbiamo molti interessi in comune, di quale non potresti fare a meno?
Viaggiare e tenermi sempre aggiornato sullo stato di devasto delle ninfette (…o ex ninfette) del pop.

Come ci si sente a vivere d'artista?
Vivrei allo stesso modo anche se facessi il panettiere o il pescivendolo sperando di avere in ogni modo la stessa visione delle cose, appassionata e scettica/disincantata allo stesso tempo.

Sei un fan della TV spazzatura; che cosa ti diverte di quel mondo?
Dico sempre che la tv spazzatura è il miglior rimedio per disintossicarsi un po' da ciò che viene comunemente definito "impegnato".

Quale sarà la tua prossima mossa?
Ho una mostra itinerante organizzata dalla Credit Suisse. Toccherà le principali città europee e non solo, tra cui Londra, Zurigo, New York, Tokyo, Parigi, poi ho la mia prima intervista in tv per una trasmissione che si chiama "Life Sharing" per il canale Bonsai di Alice Hometv.

domenica 4 novembre 2007

Melanie Pullen - Interview


Artista americana nata a New York nel 1975, vive e lavora a Los Angeles. Le sue opere sono una ricostruzione dettagliata di delitti vintage realmente accaduti. Le vittime reali sono state sostituite da modelle o attrici vestite con abiti ed accessori d’alta moda, inseriti volontariamente dall’artista per distogliere l’attenzione dall’omicidio. Il risultato è un immaginario cinematografico che accarezza moda, cronaca ed arte.

Sei nata a New York ma ora vivi a Los Angeles credi che il tuo surrond abbia influenzato il tuo essere?
Sì, sono cresciuta circondata da artisti. Allevata nel Village. Non sono mai andata all’università. Poi mi sono trasferita in California e sono venuta a contatto con il cinema. Los Angeles è una città strana nessuno va in giro a piedi e va a letto molto presto. Questo mi ha permesso di scattare in location fantastiche, che erano deserte. E’ un lato della città che adoro. Stando sveglia fino a tardi mi avvantaggio perché la città è vuota.

Ciò che mi colpisce maggiormente nelle tue fotografie, è che osservandole si notano diversi dettagli e cominci a farti domande sulla storia che si cela dietro quel particolare omicidio. Era questa la tua intenzione?
Sì, ogni immagine racconta una storia perfetta e si basa su qualcosa realmente accaduto. Ci sono un’infinità di domande che nascono spontanee guardando ogni pezzo. C’è un inizio ed una parte centrale che devi capire, hai soltanto la parte finale, è quello l’indovinello che rimane da svelare. La vita di ognuno è una storia ed è ciò che rende le persone così interessanti, ma qui abbiamo anche il voyeurismo e il dramma mescolati insieme.

Com’è nata l’idea di dare una nota glam ad alcuni crimini americani?
Circa dieci anni fa ero in una libreria di Los Angeles a sfogliare libri di fotografia, per caso presi in mano questo libro vintage fotografico di scene del crimine. Le fotografie erano davvero inquietanti, ma mi sono trovata incapace di posarlo. Quella notte ero stregata dalle immagini ed ho avuto difficoltà a dormire. Pochi anni dopo mi trovavo nella stessa libreria e di nuovo accidentalmente presi in mano un altro di libro di scene del crimine, questa volta anziché soffermare la mia attenzione sulla scena e la morte, mi accorsi che davo maggior attenzione all’ambientazione, ai vestiti e ai piccoli dettagli. Quando tornai a casa quella notte, mi resi conto di aver osservato terribili immagini di morte, non potevo crederci, iniziai a riflettere sulle mie passate esperienze. Credo che questo mi abbia lentamente desensibilizzato verso questo tipo di soggetto. A quel punto ho deciso di creare le High Fashion Crime Scenes. La mia serie ti porta attraverso questo processo di glamourizzazione e desensibilizzazione alla violenza. Noti i dettagli che sono molto cinematografici e sopra le righe. Guardi prima le scarpe poi mentre te ne stai andando ti rendi conto che ciò che stavi osservando era una donna appesa.

So che uno dei libri a cui ti sei ispirata è stato quello di Luc Sant…
Quello è il secondo libro che ho preso in mano nella libreria. Si tratta di una meravigliosa collezione d’immagini del dipartimento di polizia di New York tra il 1912 e 1914. Sono immagini senza tempo che raccontano la storia della città. Molte delle fotografie non hanno più la documentazione che dica chi fossero le vittime. In quell’ultimo saluto le persone sono perfette. Raccontano tutte una storia, che è ciò che faccio con il mio lavoro ed è ciò che ho sempre cercato di raggiungere.

Non so se tu sei d’accordo con me, ma le donne che rappresenti nelle tue fotografie nonostante siano morte o assassinate mantengono sempre la loro eleganza. Sono stati i vestiti d’alta moda il mezzo per creare questo allure?
Ho introdotto l’abbigliamento come il mezzo per creare questa sensazione e dare alle donne una personalità. Quando vedi la gente per strada, la si giudica in base a ciò che sta indossando. I vestiti danno un’impressione molto forte ed importante. Tu riesci semplicemente a dire che uno sia un dottore o un business man da ciò che indossa. Così quando ho inserito pezzi d’alta moda nel mio lavoro, l’ho fatto per rendere le donne senza tempo e offrire loro dignità.

E’ vero che hai fatto un’ampia ricerca per ogni omicidio? Quanto tempo impieghi dal momento della documentazione al giorno dello shooting?
Alcune immagini hanno richiesto parecchi mesi. Ho lavorato con un team degli effetti speciali, una squadra cinematografica, il coroner della contea di Los Angeles, la polizia etc. Poi ho personalmente ritoccato e stampato le mie foto. Cerco di tenere ogni aspetto sotto controllo.

Riesci a trasformare un momento così drammatico in una cinematografica tranquillità apparente, come ci sei riuscita?
Volevo portare anche il cinema nel risultato finale. Una delle mie più grandi fonti d’inspirazione è sempre stato il grande cinema. Ho creduto che il tipo di luce ed i colori si sposassero perfettamente con i vestiti e avrei potuto catturare e creare qualcosa di meraviglioso. Molti miei collezionisti fanno parte del mondo del cinema, ho ricevuto lettere da registi e cinematografi che mi hanno chiesto come creo le mie immagini. Questo per me è un bellissimo complimento, soprattutto se fatto da artisti che reputo brillanti.

Sei stata nei luoghi dove queste persone sono state realmente uccise oppure hai ricreato tutto?
La maggior parte delle volte è stato tutto ricreato, ma a volte ho usato location reali.

A cosa stai lavorando ultimamente?
Sto lavorando ad un progetto sulla guerra ispirandomi a quadri storici di scene di battaglia. Sono diventata completamente immune al crimine ed alla violenza ma per qualche ragione non sono mai riuscita a passar sopra immagini di guerra. La mia nuova serie non ha riferimenti politici, sto lavorando solo con dei top model, uno di quelli che ho recentemente fotografato è stato il testimonial di Gucci. Ho fatto questa scelta per creare immagini con uno stile epico e look iconografico.